Distratti 14 mln, 10 indagati per bancarotta fraudolenta

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Indagini Gdf su fallimento società Hotel 501 di Vibo Valentia

 I finanzieri del Comando provinciale di Vibo Valentia hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Procura della Repubblica, a 10 persone indagate, a vario titolo, per bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento delle società “501 Hotel Spa”, “501 Hotel Gestione Srl”, “Phoenices General Trade Srl”, “Onda Verde Mare Srl”, tutte facenti capo alla nota famiglia di imprenditori vibonesi dei Mancini.
    Le indagini, dirette dal sostituto Concettina Iannazzo, e condotte dalla Sezione di polizia giudiziaria e dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Vibo Valentia, hanno preso in esame le procedure concorsuali che nel corso degli anni si sono concluse con la dichiarazione di fallimento delle società che avevano gestito importanti strutture ricettive quali Hotel 501 di Vibo Valentia, Lido degli Aranci di Vibo Valentia, Acquapark di Zambrone.
Nel corso degli accertamenti sono state ricostruite una serie di operazioni che avrebbero provocato il dissesto, con il drenaggio e la distrazione di risorse per 14.903.050 di euro e la conseguente creazione di una massa fallimentare di 55.759.730 di euro. Per l’accusa le condotte avrebbero avuto un unico filo conduttore individuabile nella gestione finalizzata al depauperamento delle risorse da parte dei deceduti cugini Giovanni Giuseppe Mancini e Saverio Mancini, e successivamente dai rispettivi figli, che, insieme agli altri amministratori, approfittando dell’omesso controllo degli organi sociali, avrebbero condotto al fallimento. Gli imprenditori, per l’accusa, avrebbero sottratto denaro cagionando il dissesto con una serie di operazioni dolose quali, ad esempio, la mancata registrazione di corrispettivi per eventi e ricevimenti pagati in nero; prelevamenti in contanti dai conti delle società; l’arbitraria distribuzione di utili ai soci in contrasto con le delibere assembleari. Dalle indagini sarebbe emerso anche un costante prosciugamento delle risorse societarie con contratti di affitto di ramo di azienda a canoni non congrui o altri contratti anomali, stipulati esclusivamente, secondo l’accusa, per documentare “cartolarmente” servizi che in realtà non venivano prestati.

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